H_A_G_@ # 3 / Febbraio 1999
[non solo pettegolezzi, ma, soprattutto, critiche: alle mostre e ai critici e a come criticano...]
Certo, da una mostra come "ROSSO VIVO. Mutazione, Trasfigurazione e sangue nell'Arte Contemporanea" (in corso al PAC di Milano) ci aspettavamo molto di più. Non solo dalla mostra, (che era necessaria ma è forse un po' una occasione sprecata, perché si poteva fare molto meglio), ci aspettavamo del materiale interessante per il nostro notiziario, e invece, tutti buonini, forse per evitare le isterie di FAM contro la stampa.
Non si sbilancia nel giudizio Angela Vettese ("Il sole
- 24 ore" del 24/1/99), lasciandoci un dubbio ancor più grande del suo:
"Si esce dalla mostra con il dubbio che il gusto del sangue e della
manipolazione del corpo non sia nato nel presente futuribile, ma alberghi nella
coscienza umana fin da quando si è accorta di essere insieme scissa e separata
dal corpo stesso: è attorno a questo mistero che girano, oggi come ieri,
fantasie e liturgie. Un altro dubbio assai più terra terra: chissà se il PAC
conserverà per sempre l'allestimento pensato da Ennio Capasa, una moquette che
unifica lo spazio e conferisce dignità a qualsiasi cosa".
Quanto al signor Capasa, che non conosciamo per nostri
evidenti limiti - e che Lea Vergine definisce "un sarto tutt'altro che
sconsiderato" - si presenta (come da Comunicato Stampa) come "il
primo stilista a cui è stato chiesto di ideare l'allestimento di una mostra
d'arte" e lo ha fatto rivestendo tutto di feltro grigio, "come
metafora dell'interno del corpo", mentre "una linea rosso vivo, verniciata
per terra a 60 cm. dai lavori, simbolizza un'arteria di continuità fra le opere
d'arte".
Più interessanti le notizie dal fronte del pubblico: ecco il
FAX che il (crediamo) giovane LUCA (che speriamo completamente digiuno di arte)
ha spedito [22. GEN. 1999 11:37]
all'amica ALESSANDRA:
CONTRO L'ESTETICA DEL RIGOR MORTIS.
Sono andato all'inaugurazione di una mostra d'arte
contemporanea, il cui tema era la rappresentazione del sangue nell'arte
contemporanea. Rappresentava una panoramica dei lavori degli artisti
d'avanguardia nel campo dell'arte irregolare, multimediale e di
performance. Sono andato a vedere la
mostra con un leggero pregiudizio, con il presentimento che non mi sarebbe
piaciuta, che l'avrei trovata poco interessante, che non mi avrebbe coinvolto
né colpito. In parte avevo ragione, in
parte torto. La mostra non mi è piaciuta, però mi ha colpito profondamente,
spaventosamente. Premetto dicendo che si trattava di un'esposizione ben curata,
ed allestita degnamente, in cui i lavori seguivano una mirabile coerenza e un
livello di "qualità" o di raffinatezza formale omogeneo. Però l'effetto di quelle opere, la poetica ed
il messaggio ad esse sotteso, mi ha letteralmente sconvolto. Ho assistito alla
rappresentazione dell'estetica del male, alla rappresentazione concettuale
dell'inferno, ed ho visto di riflesso il mondo contemporaneo rispecchiato nei
suoi valori di riferimento. Ho visto spettatori e spettatrici eccitati dallo
spettacolo della morte, dallo shock del dolore e dall'angoscia fini a se
stessi. E non ho potuto fare a meno di pensare alle immagini elettroniche, ai
fosfori verdi di bombe intelligenti, a dirette televisive dai fronti di guerra,
a reportage sulle autostrade nei giorni di festa. Una rappresentazione della morte
che non ha traccia di denuncia, ma solo autocompiacimento, libidine, vuoto
estetismo del dolore, psichico e fisico. Nelle opere rappresentate in cui non
appariva nulla di palesemente splatter, era però evidente, inequivocabile, la
valenza entro cui tutti gli artisti si muovevano, la valenza del male assoluto,
l'estetica dei campi di sterminio. Un quadro completamente ed uniformemente
rosso, di un rosso sangue della tonalità esatta, fisiologica, in cui l'assenza
di forme lasciava lo spettatore libero di immaginarsi il proprio orrore
preferito, ma sempre entro la cornice del dolore. Ritratti fotografici di un
volto deformato chirurgicamente per rappresentare, la mostruosità, l'orrore,
innanzitutto verso se stessi, per trasformare se stessi nel proprio incubo ed
evocare negli altri l'incubo di ognuno. Immagini elettronicamente manipolate
per rappresentare stanze di carne in cui il corpo, la carne è solo un limite
per la mente, un supremo orrore che impedisce la libertà, in cui si insinua il
sospetto di una tortura, del passeggiare nel corpo altrui come fosse una
stanza, come fosse luogo calpestato. Una grande scultura, vagamente simile a un
corpo, dalle linee organiche e morbide, sospeso nell'aria, interamente
costituito da carapaci di scarabei minuziosamente incollati l'uno sull'altro
nessuna sensibilità per le incredibili forme naturali, per straordinaria
estetica (quasi fantascientifica) del design di gusci, teste, antenne, corna.
Solo morboso desiderio di un corpo che susciti il disgusto, di una fisicità demoniaca
e brulicante, che evochi insetti, decomposizione, sporcizia e morte. Un angolo della mostra era occupato dalla
falsa rappresentazione della scena di un delitto, come se fosse il set di un
thriller americano, recintata da un nastro giallo, con la sagoma del corpo
segnata da un gesso bianco e con tutti gli oggetti della vittima sparsi così
come sono stati trovati dai primi inquirenti. Una parete piena di parti di
carrozzeria, ritagliate al loro interno da sagome color rosso sangue,
prevalentemente a forma di cuore, unica scelta immaginarsi incidenti,
tamponamenti a catena, crash apocalittici, in cui i sentimenti si schiantano
come corpi l'uno contro l'altro. E poi
fotografie di scheletri ibridi di animali impossibili, di trasformazioni,
trasfigurazioni, lacerazioni del corpo e
più ancora dell'anima, segni di un cristianesimo ormai morto e resuscitato in
vuota forma di zombie, che aleggia crocifisso. Ed ovunque il segno della morte,
della disperazione, della schiavitù, dell'assenza assoluta di speranza, di
umanità, di compassione alcuna, verso chiunque, principalmente verso se stessi.
Ed in tutto questo ho visto riflessa la mia città, le sue paure, la sua
assoluta mancanza di speranza, di fantasia, di immaginazione. Mi è sembrata
un'arte che non sente più il corpo, non sente il tempo, non sente lo spazio,
un'arte annichilita nel presente, che consuma le esperienze, le divora come
cromo i suoi figli. Ho visto la assoluta assenza di considerazione per il corpo
che non è più niente, assolutamente niente, solo un oggetto tra gli oggetti,
vittima della stessa vuotezza di un prodotto di consumo, di cui ci si stanca
subito, e si getta per passare ad altro. Mi è sembrato che l'equazione sesso
morte velocità consumo fosse stigmatizzata nella sua perfezione, e che non ci
fosse critica né via d'uscita, ma solo autocompiacimento. Inoltre non ho
trovato alcuna ricerca, alcuna analisi formale, nessun amore per le mani, per
quello che una sensibilità può produrre, una assenza di magia agghiacciante,
assenza della magia del fare. E poi, in maniera assolutamente imperdonabile, la
violenza verso lo spettatore, la coercizione a cui lo spettatore è sottoposto,
per cui viene privato della scelta, nessuna interpretazione possibile, nessuna
libera evocazione di simboli, nessun dialogo interiore mediato dall'oggetto
artistico, solo supina accettazione del messaggio del (sic) artista, Nell'opera
d'arte c'è sempre uno scarto, un margine imprevisto, tra le intenzioni
dell'artista e le sensazioni del fruitore, le due cose non possono e non devono
coincidere mai, lasciando che anche l'esperienza di un quadro, di una statua, o
di una sinfonia, siano un atto creativo, imprevisto, magico in cui universi
interi si intersecano e generano un'esperienza non codificabile. Qui no,
nessuna libertà, nessuna possibilità, nessuna speranza, morte disperazione
dolore. Ma dunque se il prodotto più raffinato di una struttura di relazioni
che chiamiamo società, si riassume in tutto questo, cosa resta, che possibilità
abbiamo. Se siamo ormai giunti all'estetica del suicidio,
dell'autoflagellazione fine a se stessa, solo per vedere le forme delle mie
ferite e perché sono affascinato dal sangue, dal suo colore, cosa resta
dell'umano?
Ora capisco meglio la morbosità d'un incidente d'auto, la
morbosità nei confronti della cronaca nera, delle guerre in Ruanda e in Bosnia
Erzegowina, delle bombe su Bagdad. Però io non mi riconosco, rifiuto e
disprezzo le forme, i modi, i contenuti, gli autori e i promotori di questa
idea dell'arte, di questa orribile barbarie vuota e gelida. Comincia oggi una
strenua guerra, una resistenza militante all'orrore culturale che mi circonda,
la mia guerra culturale in cui mi oppongo con un'arte che sia lentezza,
profondità, calore, emozione, potenzialità del corpo, sacralità della vita in
tutte le sue forme e manifestazioni, che sia il segno della libertà
dell'immaginazione, della speranza, un'arte che sia tempo e spazio, che sia
armonia e sviluppo, ci parli dell'anima, che abbia il sorriso, che sia dolce,
che sia vita.
Chiunque sia d'accordo sottoscriva e diffonda, mi aiuti e
combatta, per non soccombere, perché l'inferno non cominci in vita.
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Panorama n.6 - 11/2/99 - PANORAMA - Kultura. Soltanto voci politicamente scorrette.
IL CRITICONE di PATRIZIA VALDUGA.
DUE POPOLI DI PITTORI E POETI. Sponsorizzazioni eccellenti
per uno sgangherato catalogo.
Sotto l'alto patronato dei presidenti Oscar Luigi Scalfaro e
Rexhep Mejdani, con l'avallo di Lamberto Dini e i soldi del suo ministero,
poeti e pittori italiani e albanesi si sono "confrontati" a Tirana in
una mostra "dinamica, intesa come workshop, confronto diretto, incontro
vivo e umano", scaricando a Molfetta l'inevitabile catalogo double-face
che andiamo sfogliando.
Anedda, Bellintani, Benedetti...una poesia per poeta. Edita
o inedita? Non è dato sapere. Ma veniamo a sapere che Majorino si chiama
Umberto invece che Giancarlo e ha diretto l'inesistente rivista "Poesia e
realtà", che Antonella Anedda ha tradotto Philippe Jacconet e Fabio Pusterla
Philippe Jaccottet, e che Loi collabora col "Sole XXIV ore"
(sic). La Frabotta, la Merini e Zeichen
non hanno pubblicato neanche un libro, Sanguineti solo "Passaggio" e
"Labortintus II" (sic), ma Franco Buffoni, che fa parte del
"Coordinamento scientifico" per la "Sezione opere di poesia
italiana", può vantare otto volumi e nove premi. Fiori, Frabotta, Genna... Chi è Giuseppe
Genna? È il responsabile del "Coordinamento sezione Opera di Poesia
italiana".
Chissà poi come avrà fatto a confrontarsi il compianto Alighiero
Boetti, in questo "incontro vivo e umano". E come avrà fatto Mario
Schifano (1934-98), di cui si dice che è "nato nel 1914, vive e lavora a
Roma", con le sue sole quattro mostre personali? E chi è il pittore Paolo Lunanova? Non è altri che il responsabile del
"Coordinamento allestimenti mostra". E chi è infine Gaetano Grillo
(17 personali e 40 collettive)? È l'artifex maximus di questa
"Mediterranea", numero 1. Il "confronto" continua e chi più
ne ha più ne metta.
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A proposito dello sfregio di un'opera di Pollock alla GNAM
di Roma riceviamo da Luther Blissett
(ultramega@polimedia.it) un messaggio in solidarietà a Piero Cannata.
Epistola ex Vaticanis Museis n.37_27_01_1999AD OGNI TEMPO LA SUA ARTE!LUTHER BLISSETT IN SOLIDARIETA' A PIERO CANNATA
Ieri, 26 gennaio '99, Piero Cannata è intervenuto sul dipinto di Pollock "Sentieri Ondulati" conservato alla "G.N.A.M." di Roma. Vi sfido: sfido chiunque dei giornalisti che hanno scritto della sua azione a distinguere la pennarellata di Cannata da uno qualunque degli scarabocchi di
Piero Cannata non solo entrerà nei libri di storia dell'arte, ma ci entrerà come uno dei più radicali e innovativi artisti degli anni novanta. Ovviamente bisogna aspettare la posterità.
Luther Blisset
(RASSEGNA STAMPA: da "Repubblica online" 26 gennaio 1999.Vandalo "di professione" contro un'opera di Pollock; da "Repubblica", pagina 21, 27-1-99 "L'Attila dell'arte" colpisce ancora; da "Repubblica", pagina 21, 27-1-99 "Rifarei tutto, potrebbe toccare anche al Louvre"; da "Repubblica", pagina21, 27-1-99 "Schediamo quei vandali e diamo le foto ai custodi"; da: "Repubblica online", 2-2-'99 E se Cannata "il matto" fosse più artista di Pollock? di Luther Blissett; da "Repubblica online", 2-2-'99 Una risposta alla provocazione "pseudo futurista": Pollock era un artista consapevole, i valori non si annullano. Caro Vagheggi, il manicomio è una cosa seria, molto più seria dell'arte! di Luther Blissett)
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